Marca e Metriche nei Social Media di Andreina Mandelli & Cosimo Accoto

A fronte della presenza e della partecipazione massiccia di utenti e consumatori nei social media, comunicatori, brand manager e marketer vengono riconoscendo la necessità di affrontare le comunicazioni che si sviluppano attraverso la conversazione, la creazione e la condivisione in rete con prospettive metriche e gestionali nuove.

Nella pratica recente sul tema delle social media metrics l’elenco degli indicatori dedicati alle misurazioni delle performance di comunicazione e marketing è stato arricchito introducendo, per la prima volta, misure nuove e, si direbbe, insolite come: friends, followers e supporters. Insieme, dunque, alle più classiche misure di page view, impression, click-through rate e visitor, si stanno aggiungendo metriche relative al numero di amici, fan e supporter, con l’obiettivo di analizzare la dimensione e l’impatto delle attività sociali e delle influenze in rete. Si tratta di un tentativo di estendere la quantità di indici messi a disposizione di chi si occupa di pubbliche relazioni, di brand manager e marketer per la valutazione delle strategie e delle operazioni di comunicazione
nei nuovi ambienti sociomediali.
La presenza di queste nuove metriche segnala un bisogno sempre più avvertito, oggi, da imprese e istituzioni nell’approcciare quella che è stata definita da Manuel Castells come mass self-communication. Un tentativo che sollecita practitioner e ricercatori a ripensare le metriche di marketing e comunicazione da impiegare nei cosiddetti social media (servizi di blogging e microblogging, piattaforme di social network, aggregatori per video sharing, ambienti e mondi virtuali, siti di social news e di customer review…), sempre più anche mobili e, come si vede sempre più spesso, geo-targeted in forma di servizi location-based.
A fronte, dunque, della diffusione crescente dei cosiddetti media sociali in rete e del loro coinvolgimento nella vita quotidiana di utenti e consumatori (e, per riflesso, di imprese e istituzioni), viene emergendo, in maniera chiara, la richiesta da parte delle aziende e delle organizzazioni di definire analiticamente e impiegare operativamente specifiche social media metrics e, soprattutto, come vedremo, di inquadrare questi indicatori nuovi entro un framework più aggiornato per un social media management efficace.

a cura di Andreina Mandelli
e Cosimo Accoto
(Università della Svizzera Italiana, 2010)

Il libro è disponibile online, sui siti:
Il mio libro:

Progetto ‘Digital Markets’

Contatto:
Prof. Andreina Mandelli
andreina.mandelli@usi.ch


Dalla web analytics alla social media analytics
Affrontare il tema delle misurazioni e delle metriche più opportune ed efficaci per le operazioni e le strategie di comunicazione e marketing nei/con i social media significa, tuttavia, avventurarsi ancora oggi in territori e lungo percorsi in buona misura in via di esplorazione e di mappatura. Nel passaggio dalla web analytics più classica alla web analytics 2.0 e, da ultimo, alla ‘social media analytics’, comunicatori, brand manager e marketer fronteggiano un panorama metrico contemporaneo in rapida evoluzione sia in relazione agli approcci analitici che guidano la scelta e l’impiego di misure e indicatori sia in relazione alle pratiche effettive e concrete che operazionalizzano, ad oggi, le strategie di data collection e analisi in ambienti ‘social-based’.
Nel mentre, quindi, analisti e marketing manager sono ancora impegnati a ripensare come meglio misurare una pageless experience (cioè la fruizione dei contenuti in rete non più centrati sulla metafora della ‘pagina web’) o ancora il view-through (vale a dire quanto accade online senza che vi sia azione di ‘click’), sono chiamati, anche, ad individuare le tecnologie e le operazioni più opportune per rendere accountable anche le nuove dimensioni comunicativo-partecipative proprie dei social media. In questa prospettiva, non si tratta però solo, banalmente, di individuare nuove metriche e nuovi indicatori chiave di performance (kpi). Più strategicamente, si tratta di verificare se le logiche audiometriche impiegate negli ambienti digitali di rete ‘pre-social’ siano adeguate a valutare la social agency dei clienti e degli altri stakeholder, ma anche della brand stessa entro i social media.
Si tratta anche e soprattutto, di capire se e come le strategie manageriali di ‘controllo’ (ancora dominanti nei processi di communication management contemporanei) debbano essere aggiornate per fronteggiare ambienti (al contempo ‘espressivi’ e ‘collaborativi’ come ha scritto Kotler in Marketing 3.0) a complessità elevata e, in certa misura, impredicibili.
Una recente ricerca (Mandelli, Accoto e Mari) mostra, invece, come le pratiche contemporanee di ‘social media measurement’ proposte dal field risentano di operatività e prospettive ancora in larga misura fondate su framework tradizionali e per qualche aspetto anche viziate da confusione concettuale (in sintesi spesso non è ben chiaro qual è il fenomeno che si misura e perché).

Pratiche e metriche di social media measurement
Nonostante gli sforzi compiuti, ad oggi, le pratiche di measurement risultano ancora in buona misura fortemente legate ad una prospettiva tecnocentrica e di piattaforma (‘misuro tutto quello che il sistema di monitoring mi consente di tracciare’) e centrate su una logica di misurazione degli effetti (‘cosa cambia per effetto della comunicazione’) anche nel caso, ad esempio, del buzz creato (naturale o fertilizzato che sia). Sembra mancare un chiaro quadro di quali siano i nuovi fenomeni che trasformano la marca in una co-creazione sociale (e quindi non necessariamente e gerarchicamente legati ad iniziative aziendali), ma anche di quale sia l’unità di analisi utile in ogni specifico ambito di misura e il link tra queste metriche e gli obiettivi di comunicazione e marketing.
In questo contesto si propone il contributo di questo libro, che raccoglie saggi che da prospettive diverse si propongono l’obiettivo di classificazione di queste metriche, per ricondurle a specifici obiettivi di comunicazione e marketing, a partire dal quadro più generale e strategico entro il quale questi fenomeni ci possono interessare.
Se il web, dunque, può essere visto come un enorme laboratorio diffuso per lo studio del comportamento umano in ambienti digitali, il social web invita all’espansione di questo laboratorio allo studio del customer behavior anche nelle sue dimensioni socializzate e, quindi, di customer networks secondo dimensioni molteplici (conversazionali, cocreazionali, di influenza). Tra queste, nelle esperienze pratiche contemporanee di social media measurement, molto spesso la dimensione comunemente intesa come conversazionale viene considerata particolarmente rilevante e, di conseguenza, un obiettivo di ascolto viene attivato con le relative operazioni di misurazione. Al minimo si ritiene oggi, infatti, necessario porsi all’ascolto della ‘voce del consumatore’ (voice of customer).

Fig. 1 Metriche secondo l’ approccio duale al management

Fonte: Mandelli (2010) Oltre il controllo del brand nei social media? in Mandelli and Accoto (2010) Marca e metriche nei social media

Il concetto di buzz monitoring (attraverso listening platforms) identifica la pratica di registrare, riportare e analizzare il vissuto e il condiviso dei mercati sociomediali espressi in forma di conversazioni tra utenti. In questa prospettiva, ad oggi, operativamente si fa monitoraggio e tracking di queste conversazioni tra utenti/consumatori al fine di segnalare, quantificare, identificare argomenti, atteggiamenti, sentimenti e idee in merito a brand, servizi e prodotti utilizzando metriche quali ad esempio: conversation reach, mentions volume, sentiment ratio. In maniera pervasiva, quanto varia, il field utilizza, in aggiunta, il concetto di engagement come termine per individuare un qualche grado di coinvolgimento dell’utente dentro questi nuovi ambienti sociali.
Practitioner e analisti ricorrono a un modello detto di customer engagement (CE) come framework audiometrico avanzato per valutare e quantificare il livello di interazione degli utenti con la marca e i suoi contenuti (es. video completion rate, applications installed/disinstalled, content downloads).
Inoltre, se si considera che si usa affermare che le raccomandazioni sono le campagne nei social media, risulterà evidente come, nell’analisi e nelle valutazione degli impatti delle strategie di social media marketing, la misurazione della brand advocacy è ritenuta svolgere un ruolo centrale quantificato attraverso metriche quali: number of reviews, mash-ups created, fan group creations.
Marketer e brand vengono, da ultimo, riconoscendo l’importanza della dimensione dell’influenza (in forma varia: epidemica, suggestiva, condivisiva, comunitaria, promozionale) e della rilevanza della natura e struttura dei social graph all’interno dei quali queste dinamiche d’influenza agiscono, misurate con indici quali: authority, strenght of tie, follower/followee ratio, # number of retweets per thousand followers, velocity, acceleration effect, trust, impact.
L’inquadramento metrico fin qui delineato ha come orizzonte analitico la valutazione di approcci centrati sul consumatore e le sue reti (customer-centric e network-centric). Ma un’ulteriore dimensione misurativa valutata nel field è quella interessata a individuare metriche aventi l’organizzazione e il brand come unità di analisi. In questa prospettiva si raccolgono dati sulla presenza corporate e dei brand in rete e sulle performance negli ambienti sociomediali per indicizzare il cosiddetto social engagement della marca.

Verso un framework sociometrico multidimensionale
A partire da un’analisi delle pratiche più significative nel settore e dalla comprensione dei modelli di relazione emergenti nei nuovi ambienti sociali, risulta un quadro delle nuove necessità di misura dal quale emerge la proposta per un framework sociometrico più avanzato, che rifiuta sia la semplice logica di misurazione centrata sulla piattaforma (e magari senza neppure avere chiari gli obiettivi di business per cui si misura) sia quella della misurazione esclusiva degli effetti della comunicazione di marketing.
In questa prospettiva, è necessario, invece, progettare e implementare prospettive metrico-gestionali che sappiano valutare e integrare dimensioni molteplici: prospettive di breve e di processo, contesti a relativa stabilità e scenari di incertezza, misure customer-centric e firm-centric, unità di analisi a livello individuale, organizzazionale e reticolare, focus su brand, rete, industry e società avendo chiare le necessità informative e di performance legate alle strategie ed obiettivi di social media branding e marketing, ma anche di protezione della reputazione aziendale.
La pianificazione tradizionale e il tipo di controllo delle brand metrics effect-based (con la loro natura semplificatoria) può essere applicata quando l’incertezza e la complessità del mercato sia bassa o in uno specifico e programmabile sotto-insieme dei mercati complessi (in presenza di sub-routines lineari). Le metriche, infatti, sono l’operazionalizzazione di un fenomeno che si intende misurare. Non sono valide per sè e in qualunque contesto. Non solo è importante partire da cosa vogliamo misurare e perché, ma anche capire quale metodologia ci permette di effettuare la misura in questione. Nell’approccio che proponiamo le metodologie rilevanti sono molte, perché le tipologie di controllo e metriche collegate sono diverse.
Quando ci serve raccogliere informazioni sulle conversazioni degli utenti in rete sono utili le piattaforme e le metriche di ascolto del buzz. Quando ci serve capire come i consumatori stanno vivendo e co-creando la marca, e che ruolo hanno i prodotti nella loro vita e visione del mondo, serve utilizzare una metodologia più complessa e qualitativa, in particolare la netnography basata sulle tecniche di participant observation e analisi etnografiche applicate ai social media. Anche queste pratiche possono includere elementi di misura quantitativa dei comportamenti, ma collegati e emergenti da pratiche di insight qualitativo che pongono al centro dell’interesse la cultura di marca e le pratiche sociali. Così come è necessario applicare le corrette metodologie quando il problema che ci poniamo è relativo alle percezioni e alle attitudini dei consumatori.
Nelle pratiche misurative del field si tende a dimenticare che le ‘conversazioni’ non sono la stessa cosa delle ‘percezioni’ (cioè i beliefs della marca), né queste ultime sono tutt’uno con le ‘attitudini’ (gli orientamenti affettivi) dei consumatori e ancor meno possono essere considerati una misura diretta della reputation aziendale.
Il quadro si presenta, dunque, articolato e complesso. Semplificare il rapporto tra consumatori e marca oppure confidare esclusivamente in standard di monitoraggio dominati da una prospettiva tecnologica e quantitativa, non aiuta a fronteggiare l’incertezza e la complessità dei social media.
Il recente diffuso interesse verso il monitoraggio e le misure delle conversazioni guidate da software può persino aumentare questa complessità.
Il brand management nei social media non è operazione semplice come comprare un sia pur sofisticato software di monitoraggio. In effetti, il brand management nei social media tende ad oscillare tra la logica degli effetti (ad es. con il buzz marketing) e l’idea che il brand nei social media non possa essere gestito. Noi tendiamo a pensare che il controllo del brand possa essere ancora considerato un concetto utile, se esploriamo, però, le sue dimensioni communication-based, oltre e al di là della tradizione del comando e del controllo.
Proponiamo di adottare per i social media l’approccio al management proprio della ‘razionalità duale’, emergente dagli studi di come si possa fare management in ambienti complessi e incerti. I brand network nei mercati dei social media sono organizzazioni complesse, che non possono essere semplicemente gestite attraverso comunicazione gerarchica, i cui effetti possono essere pianificati e misurati; ma ciò non impedisce di sviluppare strumenti di valutazione delle attività svolte, anche a supporto delle decisioni e degli investimenti.

Fig. 2 Diverse classi di metriche, diverse metodologie


Fonte: Mandelli (2010) Oltre il controllo del brand nei social media? in Mandelli and Accoto (2010) Marca e metriche nei social media

Il management in (non di) questi ambienti ad alta complessità e socialità può svilupparsi sia attraverso pratiche selezionate tendenti all’ottimizzazione delle risorse (razionalità economica) che attraverso eccellenza e leadership nella comunicazione (razionalità comunicativa). Il management nei social media richiede la capacità di fronteggiare la complessità attraverso l’intelligenza distribuita (controllo formale + controllo informale, + informazione rilevante che fluisce dalla periferia verso i decisori, + maggiori decisioni prese in periferia), ma anche attraverso l’abilità di influenzare la dimensione razionale/economica delle conversazioni e delle narrazioni, attraverso istituzioni media professionali e la gestione delle economie della mediazione.
Il nuovo controllo del brand (se possiamo ancora chiamarlo così) emerge dall’applicazione ai social media delle migliori capacità di comunicazione e conversazione con clienti e stakeholder oltre che dalla capacità di riorganizzare i sistemi e le pratiche di comunicazione in un’ottica più distribuita. Un brand dovrebbe essere concepito come un processo di costruzione di senso (non un’entità), generato dalle interazioni varie e dinamiche dei brand stakeholders, connessi dalle narrazioni del brand a cui tutti questi agenti partecipano.
Tutte le narrazioni del brand producono il senso (e l’influenza) dell’azione brand-related dei differenti agenti (gli investimenti, gli acquisti, etc.). Alcune di queste narrazioni sono più integrative (connettendo distanze fisiche e culturali) e più autorevoli (e quindi influenti) di altre. Il controllo del brand nelle collettività sociali complesse (come possono essere i social media) può essere concettualizzato come, al contempo, ‘facilitante’ la costruzione della ‘mente collettiva’ brand-related (interrelazione degli stakeholder) e, allo stesso tempo ‘parlante per conto di’ tutti gli stakeholder del brand.
Il primo obiettivo può essere raggiunto seguendo le regole di management di quella che K. Weick chiama ‘organizzazione impermanente’ e, cioè, costruendo intelligenza distribuita e processi decisionali interazionali con attenzione maggiore ad immaginazione ed esperienza più che a piani e routines. Il secondo obiettivo richiede un’attivazione del ruolo conversante e narrante della marca, giustificata da autorevolezza conversazionale e narrativa, raggiunta attraverso attività di legittimazione in tutte le forme previste (v. il ruolo della credibilità e i meccanismi di costruzione dell’influenza nei processi di costruzione dell’opinione).
Seguendo queste riflessioni, il brand management nei social media può essere descritto come un insieme di diverse attività, influenzate dai ruoli del professionismo della comunicazione e delle economie della comunicazione. Esse sono: 1) pratiche di monitoring/alerting; 2) intelligence distribuita e facilitazione delle decisioni alla periferia del sistema; 3) partecipazione attiva alle conversazioni rilevanti; 4) stimolo alla partecipazione delle conversazioni degli stakeholders; 5) narrazione attiva per connettere conversazioni distanziate, produzione di senso del passato e del futuro del brand, influenza sulle azioni brand-related; 6) costruzione di credibilità e autorevolezza nelle conversazioni e narrazioni del brand.
Le metriche che rispondono alla logica pianificatoria e razionalizzante trovano il loro spazio in questo quadro, come avevamo già evidenziato, all’interno di precisi e specifici ambiti, limitati nel tempo e nello spazio, considerati come sub-sistemi semplificati di un quadro molto più complesso, che va capito e ‘misurato’ (quando è possibile) con strumenti e logiche diversi.
Emerge da questo ulteriore sforzo di classificazione quindi la necessità di costruire nuove metriche, che rispondano ad una logica di management communication-based. Stiamo parlando in particolare di metriche che siano in grado di catturare le capacità comunicative e di leadership centrali e distribuite dell’azienda e di chi si occupa di brand management. Stiamo parlando della misura delle risorse di comunicazione disponibili e create nei social media come: communication skills e culture, natura e processi di interazione, accesso alla conoscenza rilevante da parte di conversanti e decisori, capacità decisionale distribuita, numerosità e natura dei feedbacks, risultati di co-creation, linking value della marca, capacità di storytelling della marca, brand culture, credibilità, autorità e reputazione.

Andreina Mandelli, Cosimo Accoto

da Webook "Aria di rivoluzione" - I quaderni della comunicazionw (ADC Group)

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